Lui è Sting, il cane di mia figlia, e abita con lei dall’estate del 2017. È nato nel 2015 e quando aveva 9 mesi è entrato in canile. L’ho conosciuto quando ero volontaria, ho iniziato piano piano a interagire con lui tramite un altro educatore che mi affiancava e mi accompagnava nelle prime passeggiate.
Quello che ho sempre pensato (è un sentire strettamente personale tengo a precisare) è che Sting soffrisse tanto e più di altri il contesto e che i suoi modi di esprimere questo malessere erano piuttosto vivaci e accesi.
Ricordo l’uscita dal box, non ci potevano essere gomme, palette, spazzole, perché lui con la velocità di un fulmine tranciava tutto. L’oggetto preferito era la gomma dell’acqua. Penso che questa caratteristica di Sting se la ricordino tutti.
Aiutare Sting a gestire quei momenti, quei suoi stati d’animo, non era per nulla semplice. A un certo punto, ricordo come fosse appena successo, chiesi al responsabile del canile se mi dava la possibilità di portare Sting con me a mangiare un gelato e fare un giro in città.
Sentivo il bisogno di conoscerlo in un altro contesto, dove la pressione era minore. Da subito ho visto un altro cane, per usare un termine che rende l’idea: si è immediatamente sgonfiato, come accendere o spegnere la luce.
Personalmente era la prima volta che facevo un’esperienza così emotivamente intensa.
Mi ricordo esattamente dove ero, mi misi a piangere, mi ricordo i suoi occhi, il suo respiro, i suoi muscoli rilassati, la sua fronte si stava distendendo, i suoi segreti e le sue paure le stava piano piano condividendo. Fu difficile per me riportarlo in canile, gli promisi però che non l’avrei mai preso in giro. Credo profondamente che ci siano legami karmici anche con gli animali.
Un pensiero va anche a mia figlia, per aver avuto il coraggio di scegliere.